giovedì 17 dicembre 2009

Alla caccia del friendly-fire

Vittorio Feltri Un giornale barricadero e militante non può rappresentare un grande partito


E se il "nemico interno" fosse Vittorio Feltri?

di Filippo Rossi

No, non è colpa di Silvio Berlusconi. Proprio no. E non è neanche colpa di Fabrizio Cicchitto, in fondo. Neanche di Gasparri, di Bondi o di Quagliariello. E neanche di un parlamentare come Giancarlo Lehner, che pure è sempre disponibile a qualche uscita scomposta e di cattivo gusto. No. Forse la colpa è, soprattutto, di una persona che con la sua azione mediatica influisce fin troppo sul fare e sul pensare politico del centrodestra italiano. E questa persona è il direttore del Giornale, Vittorio Feltri.


Non è possibile che un grande partito moderato, che punta a rappresentare la maggioranza dei cittadini italiani, che si riconosce nel Partito popolare europeo, che nel suo manifesto dei valori pone al centro la persona umana e la sua dignità, un partito che deve affrontare la sfida del governo in un momento non facile, ecco, non è possibile che un partito così sia rappresentato da un giornale che non è di destra. Ma che, nei modi e nei fatti, è un giornale minoritario, barricadero, militante e sostanzialmente di estrema destra. Un giornale che fa della propaganda la sua cifra stilistica.


Un giornale che, tra l’altro, si è auto-investito di questa rappresentatività. Un giornale il cui direttore, un po’ come San Pietro, si ritiene il custode delle chiavi del Regno (tu entri e tu esci dal Pdl…), e il depositario della Dottrina. Un giornale che, con questa impostazione, non può non invitare allo scontro, con toni da Crociata o da Inquisizione. Un giornale che difende la Lega un giorno sì e l’altro pure, che intervista un’esagitata come Daniela Santanché almeno una volta al mese, quasi che con il suo movimento dello zero virgola possa essere considerata rappresentativa della linea di un grande partito. Un giornale che si diletta nella caccia all’untore, nella delazione del presunto traditore, nella scomunica e – quando serve – nel rogo mediatico degli eretici, o degli “scomodi”. Un giornale che troppo spesso, dal caso Boffo al caso Mussolini, si nutre di insinuazioni e di personalizzazioni.


Un meccanismo che rischia di andare fuori controllo. Una scheggia impazzita. Pagine piene di livore, in questo momento, sono inutili e dannose, per il paese. E anche per il partito (sempre che del partito, a uno come Feltri, interessi qualcosa…).


«L’amore vince sull’odio», ha detto il premier dal letto d’ospedale. E noi siamo assolutamente d’accordo con lui: è la nostra linea. Anzi, vogliamo aggiungere una bella frase di Giacomo Puccini: «Contro tutto e contro tutti fare sempre opera di melodia». Noi ci proviamo, a far vincere l’amore sull’odio. Anche a costo di essere tacciati – cosa che avviene pressoché quotidianamente – di superficialità, di melensaggine, di inutile buonismo.


“Fini è il traditore interno”, “Fini è il traditore interno”, “Fini è il traditore interno”. Eccolo, uno dei mantra feltriani. Ripetuto stucchevolmente, quasi ogni santo giorno. E ritirato fuori anche oggi: la critica alla fiducia sulla Finanziaria? Uno schiaffo a Berlusconi. E via così. Ma non può che sorgere un dubbio (anzi, è un dubbio non nuovo, a essere sinceri): e se il nemico interno, quello che rema contro e che impedisce al Pdl di crescere, di stabilizzarsi, di amalgamarsi e di governare con serenità, fosse proprio lui, il direttore del Giornale, Vittorio Feltri?

Il Tempo di oggi racconta che il premier non ha voluto incontrare Feltri in ospedale, “ufficiosamente” per non fare uno sgarbo a Fini. Forse qualcosa sta cambiando. Forse, per tanti nel centrodestra, è arrivato il momento di disintossicarsi, scendere dalle barricate ed entrare nel mondo normale. Un mondo in cui un grande partito come il Pdl non può ogni giorno sparasi in vena fiale d’odio.

16 dicembre 2009 da FfwebMagazine

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